Note critiche
Hanno parlato di Felice VATTERONI diversi critici in occasione di varie manifestazioni o mostre personali, si riportano di seguito alcuni passi più significativi che meglio identificano l'opera artistica dello Scultore
VITO APULEO Dinanzi alle opere che Felice Vatteroni espone vien fatto di percorrere criticamente il medesimo cammino percorso dallo Scultore nei meandri dell'evoluzione stilistica determinatasi in questi ultimi trent'anni (ndr 1960-1990).
Un quotidiano, questo di Vatteroni, fatto di solitudine, di dialogo con la materia e di un rapporto di assoluto rispetto con essa; il nobile naturalismo, mano mano cede il passo alla sintesi-che non è mai stilizzazione-e tende all'essenzializzazione del volume che si propone come forma prima ancora che come immagine.
Una figura resa con estrema sensibilità dialogica tutta protesa a registrare il rapporto emozionale che l'Artista ogni volta dichiara proprio nel momento in cui si avvicina alla materia preoccupato per la tradizione che da essa discende.
TOMMASO PALOSCIA Vatteroni è uno scultore istintivo, legato al marmo che è la materia essenziale della vita e del paesaggio della sua terra; a quel marmo che è stato per secoli lo strumento rilevatore delle diverse concezioni dell'arte plastica non solamente in Italia e nell'Europa; Vatteroni, carrarino, ne avverte persino gli umori e quando si accinge a levigarla per certe sue composizioni di intreccio figurale.
In questo suo amore per la materia, affrontata come ormai pochissimi "scultori" osano fare, l'Artista manifesta già in grande misura la poesia che gli alberga dentro e che via via affina mentre plasma il marmo e gli infonde per ritmi quasi musicali una vita che si articola in forme.
LUIGI BERNARDI E' difficile mettere a fuoco, nel breve spazio di una nota, la felicità formale, il morbido senso plastico, la tenerezza che sono presenti nelle sculture di Felice Vatteroni.
C'è, innanzitutto, nei suoi lavori un senso preciso di quello che è, o è stato il linguaggio plastico: Vatteroni lo recupera con un attenzione precisa ai volumi valorizzati nel loro emergere alla luce senza trapassi bruschi, secondo la logica di un pieno morbido e delicato.
E' escluso qualsiasi descrittivismo o realismo di superficie: il discorso è centrato su un'essenzialità che è talora portata alle estreme conseguenze pur permanendo l'aggancio figurale, quando si passa dalla figura in piedi alla figura accovacciata.
Direi che Vatteroni ha maturato e fatto sue certe indicazioni sullo specifico "tattile" della scultura del passato: non ha voluto ne vuole, rompere il contatto con la tradizione, ma, riducendo l'impatto realistico delle sue figure femminili e sottoponendole e legandole a situazioni "chiuse", privilegia la convessità esterna; in definitiva: una felicità espressiva serena e matura.
RAFFAELE DE GRADA Parlare di Vatteroni a Carrara è come giocare in casa, l'ho conosciuto, intimo nella sua coscienza professionale al Castello Malaspina di Fosdinovo nell'occasione di una sua esposizione in quel castello nel 1987; la figura delicata, quasi tremula, dello scultore, si muoveva tra le sue immagini marmoree come se dovesse sorvegliare il loro riposo, come un padre che avesse messo a letto i suoi figli.
A Carrara Vatteroni si era formato incominciando a seguire lo studio della figura a tutto tondo con Caro Fontana; la biografia di Vatteroni, esordiente negli anni trenta è felicemente tutta in controcanto, niente novecentismo piatto né inutili sperimentazioni, solido ritrattista procede sicuro nello studio della figura umana, nell'ambito di quel classicismo modernizzante (vedi La Giuditta del 1935) che godette a Carrara del prestigio di un artista come Arturo Dazzi.
Ma Vatteroni non è stato, come si suol dire un "seguace", sensibile ai richiami del dopoguera, egli studia le masse plastiche, anche passando dalle tecniche della terracotta, nel contesto di una figurazione che si articola in un tutto unico (I Dispersi) liberandosi del concetto della scultura a tutto tondo.
E' un processo lungo, che dura decenni, quello che riporta Vatteroni a sentire la forma come un blocco unico in consonanza con quelli obiettivi che furono a suo tempo raggiunti da Maillol e da Barlach e che sono stati da lui ottenuti in modo originale già negli anni settanta, quando ci troviamo di fronte ad opere di alto livello come meriggio afoso e a quei nudi sempre più emblematici in cui i marmi si propongono con l'autorità delle antiche sculture.
A questi risultati Vatteroni è giunto a forza di meditazione e di lavoro, senza mai obbedire alle correnti di moda, ma nell'idea sovrana di cercare l'individuazione di un corpo nella sua incorrutibile essenza plastica.
La sua capacità di sintesi per cui il marmo rivive come materia, indipendentemente dall'analisi descrittiva, ha parecchi rapporti con altre sculture dei carraresi, come quelle di Signori, di Laurens e quella antecedente di Maillol; vuol dire che Vatteroni aveva ben capito che cosa voglia dire essere moderni, non tanto accumulando detriti ferrosi o automobili schiacciate, come si è purtroppo visto ripetutamente, bensì rinnovando il gusto eterno della forma che è insito nell'uomo.
La forma di un corpo disteso, ripiegato, accucciato come questi che sono stati creati da Vatteroni, ci dà il piacere intramontabile della vita che è materia e spirito in indiscibile connubio.
Per queste donne di Vatteroni non importa invocare le sacre ombre di Marino, di Martini o perfino Degas, basta pensare che ci sono stati artisti come Vatteroni che, operoso in una terra dove convengono, e sono convenuti, scultori da tutto il mondo, da Moore a Pomodoro, ha imparato a far da sé ed è diventato scultore e maestro come lo divenne il conterraneo Lorenzo Bartolini, ai tempi in cui la scultura voleva dire classicismo.
Nel mondo di oggi è difficile essere un pittore ma sopratutto uno scultore, se nei tempi avvenire, come noi speriamo, si farà il conto di queli che sono rimasti (pochi) gli scultori plastici, cioè scultori, del nostro periodo, un buon posto per Felice Vatteroni c'è, e qualcuno potrà godere delle sue opere come noi, amorosi dell'arte ne godiamo oggi.